mercoledì 3 febbraio 2016

Uno Stato Economico nel caos


Il grande stato economico, l'Unione Europea, è ormai allo stato terminale della crisi, stati sull'orlo del default, mercati finanziari in crisi, disoccupazione a livelli allarmanti, tsunami di rifugiati, disordini pubblici, confusione politica a livello nazionale e internazionale.
La domanda è : praticare l'eutanasia a questo esperimento socio-economico, si o no?
Il dibattito è più che mai aperto e difficile da dipanare, gli ultras del no-euro contro i fanatici del paese delle meraviglie. Come mai l'Europa non riesce a trovare un equilibrio e portare avanti politiche importanti?

Facciamo un passo indietro ed analizziamo le basi poste per la nascita dell'Unione Europea.

C'era una volta, un continente devastato da due delle più grandi e sanguinose guerre del '900, che decise all'unanimità di creare una cooperazione tra gli stati. Con il Trattato di Roma del 1957 si va così a creare ufficialmente la Comunità Economica Europea. Andava a profilare una situazione omogenea nei campi del sociale, della politica, con politiche comuni a livello internazionale, e dell'economia, grazie all'istituzione della Banca europea per gli investimenti.
Le motivazioni nascoste e semi-nascoste sono molteplici e variegate, dal punto di vista sociale, il movimento paneuropeo serviva a contrastare le spinte nazionaliste-fasciste. Espresso dal Manifesto di Ventotene (1944), si delineava la necessità pressante all'internazionalizzazione e con questa il bisogno impellente di una forza politica esterna ai partiti tradizionali del singolo paese, focalizzati ai problemi del proprio recinto. Anche le motivazioni economiche e politiche spingevano verso un federalismo degli stati europei. L'unione economica, con l'abbattimento dei dazi intra-europei e con l'applicazione del dazio comune extra-europeo, permetteva una ricrescita economica-industriale post-bellica, come poi è avvenuto con il boom degli anni '60.
Particolare ruolo è stato dato alla Germania, viene ristabilita la sua sovranità al pari delle altre nazioni. Malvista dalla maggioranza delle nazioni europee, la Germania è il punto centrale del Trattato di Dunkerque del 1947, stipulato tra Francia e Regno Unito, è  la dimostrazione di una paura comune nei confronti del pericolo tedesco, paura diffusa anche nei paesi del Benelux, che firmano nel 1949 il Trattato di Bruxelles. La Germania finchè rimane divisa non pone nessun rischio per le altre potenze, che anzi riescono bene a controllarla e a sottometterla alle loro politiche.
Quando nel 1989 cade l'URSS e la Germania si trova di nuovo unita, la comunità europea trema e trova altri paletti per delimitare la potenza appena acquisita dalla Germania. Ciò scatena reazioni internazionali memorabili: 

              "Amo talmente tanto la Germania che ne preferivo due"
                            
 il modo in cui i tedeschi stanno sgomitando 
suggerisce che non è cambiato molto dai tempi di Hitler


L'Europa, per accettare la Germania unificata, decide di mettere in atto politiche che possano rafforzare l'unione, come con l'accordo informale franco-tedesco, si contratta l'entrata nella comunità della Germania in cambio della rinuncia al marco e il rafforzamento della PESC, la politica estera dell'unione. L'accettazione di questo accordo è il ramoscello d'ulivo tedesco, che rinuncia alla sovranità monetaria e alle mire espansionistiche verso Est.
La ricostruzione di una Germania forte e militarizzata era un futuro tangibile, per questo il Trattato di Maastricht del 1992 diventa il legame finale tra Germania e Unione Europea.

"L’integrazione europea è un imbroglio tedesco per assumere il comando dell’intera Europa” 
                                                                            N. Ridley, Ministro britannico dell’Industria, 1990

A causa di giochi di potere sull'asse Berlino-Parigi, la Germania riesce a prendere il timone dell'integrazione economica e monetaria, facendo prevalere l'impostazione rigorista tipica dei tedeschi. L'Eurozona così si trova a seguire criteri e procedure per rendere "l'euro altrettanto solido e monolitico come lo era stato il marco tedesco" (Valerio Castronovo, Il Sole 24 Ore, 2013).
Dal pilotaggio monetario, la Germania unificata diventa una potenza industriale, con il primato mondiale delle esportazione, che rafforza il prestigio della nazione. Intanto anche il settore finanziario avanza, le banche tedesche iniziano, nei primi anni del 2000, a comprare e detenere titoli pubblici di almeno una decina di paesi.
Con stoicismo, affronta un triennio di rigore fiscale, che porta la nazione al pareggio del bilancio.
Da quel momento, la Germania diventa la maestra bacchettona dell'Europa, paladina dell'austerità, ha assunto de facto "il compito di stabilire, unilateralmente, ciò che è bene e ciò che è male per l'intera Comunità" (Valerio Castronovo, Il Sole 24 Ore, 2013), per guarire la malattia cronica del Sud Europa.

Una delle cause della confusione in Eurolandia è proprio il compito che si è assunta la Germania. Guida dell'Europa senza un'adeguata investitura democratica, rettifica senza un piano dichiarato o preciso le riforme politiche ed economiche di ventisette stati. Ormai, il benestare del governo Merkel è il sigillo del Papa, che va apposto su ogni decreto e  mossa economica, come nel caso Alitalia-Etihad.
La seconda causa è l'assenza totale di sovranità nazionale sulle politiche monetarie. Il beneficio sociale dell'Unione Europea, grazie alla libera circolazione, è stato ridotto notevolmente dalla mancanza di un'adeguata struttura monetaria unificata, con meccanismi preposti al risk-sharing in caso di crisi economiche, assicurazioni a livello europeo che possano livellare i rischi a cui si va incontro con la perdita di elasticità nazionale su questioni monetarie. 

"In una specie di Stato mondiale tutta la vita economica si statalizzerebbe, 
e così non verrebbero a evidenza i singoli passivi dei paesi sconfitti"

R.Steiner, Come si opera per la triarticolazione sociale, 
Ed. Antroposofica, 1988 

Steiner, nel 1921, aveva ipotizzato uno Stato unificato, dove le politiche economiche fossero centralizzate nella sfera politica, determinando comunque la prevalenza di uno stato sugli altri, di un'ideologia sulle altre, un chiaro disequilibrio della triarticolazione. Quando la sfera politico-giuridica agisce direttamente sulla sfera economica, il risultato è la distruzione di ricchezza, la dispersione dei capitali, un netto abbassamento della forza economica con conseguente indebolimento della società e dei lavoratori (M. Viezzoli,1989). 
La terza causa è il sottostante nazionalismo, sempre più prorompente in tutte le nazioni. Secondo Steiner, l'Europa deve rivoluzionare il modello di vita sociale e culturale, riforma che deve essere attuata a livello paneuropeo. Infatti, ogni Stato, ogni popolo ha le proprie tradizioni e visioni della società e della cultura, creando una forte frammentazione che si traduce nell'incapacità di adottare leggi comunitarie. Anche dal punto di vista economico, c'è sempre un senso di rivalsa un paese contro l'altro, come dimostra lo spread. Lo spread ha valore solo nel caso in cui si confrontano monete e paesi diversi, mentre è insensato confrontare paese della stessa Unione con la stessa moneta, che cosa ci mostra? Avrebbe più senso confrontare il flusso monetario nei mercati finanziari, o lo stock di import/export per vedere la potenza industriale. Prima della crisi, lo spread tra Stati era un linguaggio pertinente solo ai tecnici, oggi, o meglio durante il governo Monti, lo spread apre qualsiasi dibattito politico ed economico. 
La quarta causa può essere vista nei rapporti non chiari tra Europa e America.  Se l'Europa non riuscisse nella trasformazione culturale e restasse impantanata nella crisi dell'euro, l'America farebbe capolino con aiuti sempre più autoreferenziali. Se il mercato europeo crollasse, il mercato americano rimarrebbe, secondo Steiner, focalizzato sulle necessità del proprio paese, arrivando alla chiusura assoluta nei confronti della morente Europa.

Una soluzione per la crisi economica sembra essere proposta, a livello europeo, dalla Banca Centrale Europea, con il Quantitative Easing. Dal punto di vista teorico, questa manovra, da tempo utilizzata in più aree del mondo, non siamo certo i primi, prevede che la banca centrale si faccia carico di comprare prodotti finanziari dalle banche commerciali, questo si traduce in un iniezione di moneta liquida nel mercato. La banca centrale europea, avendo libertà di stampare moneta, decide di immettere soldi usciti dal nulla, creando un sistema economico e monetario basato sulla semplice aria. Quello che sta facendo la BCE è già stato intrapreso dalla Federal Reserve americana dal 2010, un esperimento il cui esito non sarà quello sperato, nel mentre si creeranno speculazioni e bolle a scapito dei risparmiatori.
Secondo alcuni, il QE ha avuto e avrà effetti positivi in generale, con tassi d'interesse più bassi su mutui e obbligazioni, prezzi delle case conformi ai mercati, una maggiore valutazione del mercato azionario, un'inflazione salutare, un tasso tendente all'aumento per quello che riguarda il mercato del lavoro, e una crescita del PIL.
Per altri, invece, rappresenta un mostro economico che distruggerà il benessere e farà sprofondare ulteriormente i mercati in una profonda e conclusiva crisi.
Il primo problema è il sistema bancario, che è il beneficiario primario della manovra QE. Infatti, la Bce compra dalle banche i prodotti finanziari, immettendo liquidità grazie a questa compravendita. Ma questa liquidità non viene divisa anche con altri beneficiari, in quanto le banche hanno smesso di dare prestiti e mutui, per cui l'economia reale, casalinga, non viene minimamente interessata dalla nuova liquidità. Mentre, le banche, che in Italia detengono più dell' 80% dei prodotti finanziari, potranno investire nei mercati finanziari, andando a creare un ulteriore ricavo per i bilanci delle banche stesse. Inoltre, questa nuova disponibilità porta i detentori del potere economico a cercare quei titoli che avranno un tasso d'interesse allettante. Purtroppo, i tassi vengono automaticamente abbassati dall'immissione massiccia di liquidità, per questo gli investimenti si sposteranno verso aziende e paesi più rischiosi, ma che rendono un tasso di guadagno sull'investimento maggiore, con un altissimo rischio di creare una bolla finanziaria. 
Il secondo problema è politico, e divide in due fazioni gli Stati, quelli sulla retta via fiscale, come la Germania, e quelli considerati un peso morto, come Grecia, Spagna e Italia. Infatti, i primi non vogliono prendersi sulle spalle il rischio d'insolvenza rappresentato dai secondi. Per questo, la Bce deve diversificare il portfolio di azioni acquistate tramite QE, includendo i titoli dei paesi più sicuri, come Germania, Francia e Finlandia, e quelli ritenuti addirittura speculativi come Portogallo e Grecia (Isabella Bufacchi, Il Sole 24 Ore, 2015). Inoltre, il QE non sostituisce in alcun modo le riforme strutturali, è solamente un palliativo adottato per rimandare decisioni fondamentali a livello europeo e nazionale.

Un'altra opzione per venire fuori dalla crisi è la svalutazione, per rendere competitivo l'export europeo. Anche qui, però, il paneuropeismo viene inghiottito dalla voracità nazionale, in quanto la svalutazione dell'euro come moneta unica è impossibile se non determinata da una grave crisi sistemica, e quindi non è uno strumento controllabile e utilizzabile ai fini economici. Mentre la Fed ha controllo delle operazioni di politica economica, potendo scegliere quando alzare o abbassare i tassi per favorire il mercato e la società, l'Unione Europea ha declinato questo potere nelle mani della Germania. Il piano della Germania per uscire dalla crisi è svalutare l'euro ricorrendo a crisi sistemiche all'interno dell'unione, un paese per volta, Grecia, Italia, Spagna, Portogallo. Mettendo in crisi il sud Europa, considerato malato e confusionario, il governo Merkel ha risollevato il mercato economico e lavorativo della Germania.

L'ultima manovra intrapresa dall'Europa è la piano Junker, che promette 330-410 miliardi di PIL in tre anni e 1 milione di posti di lavoro (Il Messaggero). Grazie all'uso di leve finanziarie, il presidente della commissione promette trecentoquindici miliardi di euro per far ripartire l'economia europea. Usando risorse già esistenti, che ammontano a ventuno miliardi, andrà a finanziare progetti, nell'area trasporti, energia, ricerca e formazione, scelti da un'autorità di nuova costituzione, che attireranno finanziamenti esteri. Certo, il piano non è esente da rischi: il primo è che la leva finanziaria non riesca a produrre quanto promesso e necessario per l'Europa; oppure che questi soldi vengano male indirizzati e gestiti; un altro rischio è che il finanziamento di progetti non riesca ad attrarre finanziamenti esteri tali da giustificare un immane spiegamento di euro. 

Logicamente, non c'è uno sciroppo risolutivo per questa situazione, e purtroppo, nel mentre che i medici trovano una soluzione adeguata al malanno, noi dobbiamo subire e cibarci tagli fiscali, previdenziali e lavorativi. Il governo Renzi è tranquillo, noi un po' meno.
Facendo nostro il motto di Rossella, " domani è un altro giorno", aspettiamo la cura.

Al prossimo incontro,
Eleonora



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