mercoledì 27 gennaio 2016

Il vuoto del voto


Allo scoppio della depressione economica del 2008, molti giovani, come me, si sono affacciati alla scelta del percorso universitario che sarebbe poi sfociato in una bella opportunità lavorativa.
Poveri illusi!
Il mercato del lavoro ha subito un colpo durissimo, preannunciato dai dipendenti licenziati della Lehman Brothers nel 2008, che ancora oggi, a distanza di otto anni, stenta a tornare competitivo e capace di assorbire chi un lavoro lo cerca. La ricerca per i giovani laureati è ancora più snervante e difficoltosa, in quanto le aziende cercano profili a dir poco fantascientifici, neolaureati con almeno 110 e 2 anni di esperienza per un tirocinio di sei mesi, senza possibilità di inserimento futuro. 

Assurdo, vero? 
Il mercato lavorativo è diventato un cane che si morde la coda, con alte palizzate e un fossato, dove i ragazzi cadono e si vedono respinti a causa dei prerequisiti richiesti per posizioni entry level.

Uno degli strumenti di difesa delle aziende è il voto di laurea, chimera degli studenti universitari.

Senza nulla togliere a quei ragazzi bravi, anzi bravissimi, con una mente analitica e un sistema di studio a prova di bomba, il voto di per se è facilmente influenzato da altri fattori, onde per cui il voto di laurea è un'insieme di fattori correlati e concatenati, che, se ci pensiamo bene, non offrono un'immagine veritiera delle capacità innate ed acquisite del giovane.

Ma serve davvero ai fini lavorativi laurearsi e sventolare il 110 e lode?

Dopo anni di indottrinamento al 110 e lode, di tecniche comprovate di innalzamento media grazie ad insegnamenti cuscinetto, ora che uno studente su tre raggiunge l'olimpo accademico del 110, nel 2016 abbiamo la prova provata che il voto di laurea non indica un miglior rendimento professionale, grazie all'azienda Ernst and Young e Penguin Publisher, una delle più famose e selettive in campo di risorse umane e una delle case editrici più aperte.
Le risorse umane hanno evidenziato come non ci sia un nesso tangibile tra la performance accademica e la futura performance lavorativa. L'educazione e il livello scolastico saranno ancora utili strumenti per inquadrare il carattere e la preparazione di un candidato. Con ciò si ammette che questa barriera taglia fuori dalla possibilità di inviare il proprio CV tutti quei candidati che vengono da un background difficoltoso e svantaggiato, rispecchiato da voti meno brillanti a scuola. Uno studio condotto da Social Mobility e Child Poverty Commission in UK ha portato alla luce uno "scandalo sociale" ai danni dei ragazzi meno ricchi o con meno agganci. E' risultato che i ragazzi di un ceto sociale più alto e privilegiato hanno il 35% di possibilità in più di guadagnare stipendi importanti rispetto ai ragazzi più intelligenti ma meno appetibili socialmente. Queste opportunità in più sono date dalla potenza dei genitori, economica e sociale. Economicamente, perché possono permettersi il top dei licei e delle università; socialmente, perché possono facilitare l'ingresso nel mercato del lavoro attraverso reti sociali informali.
Una ricerca condotta dallo Studio Staff (1991) riporta dati empirici sull'importanza in  ambito lavorativo del 110. Visto che il voto alto indica un'ottima preparazione accademica, i profili di mansioni tecniche hanno il più alto numero di laureati con il massimo del voto, a prescindere dagli anni impiegati. Mentre i profili manageriali sono legati alla tempistica per arrivare alla laurea, più si è fuori corso, meno probabilità ci sono di arrivare a posizioni manageriali; questa tendenza denota una caratteristica comportamentale progettual/manageriale (G.Carelli, Le api e le regine. Vizi e virtù del lavoro degli italiani, 2008).

Andiamo ad analizzare cosa influenza il voto universitario dal punto di vista formale e come mai le aziende non dovrebbero mai soffermarsi su un mero numero in centodecimi.

Sin dagli anni 80, anni d'oro per la ricerca sulle organizzazioni economiche e le pratiche di buon business, l'educazione universitaria è stata considerata un punto cardine nella selezione e assunzione di personale. Infatti, l'educazione è usata come un indicatore dei livelli di abilità e produttività. Selezionati, scremati e incasellati con il criterio dell'educazione, oggi le aziende usano il voto come scorciatoia per carpire un livello accettabile di capitale umano produttivo. 
Ricordiamo che il benessere economico e sociale degli anni 80 e 90 hanno dato credito alla teoria della buona educazione = buona performance lavorativa, rendendo questa relazione assiomatica.
Sfortunatamente, le ricerche in questo ambito sono state interrotte e dimenticate, mentre il mercato del lavoro si è evoluto, con crisi, nuove figure e nuovi contratti, e le aziende hanno continuato imperterrite ad applicare questo tipo di processo di selezione.

A.Pozzi, Giovani tra scuola e lavoro. Dispersione scolastica, formazione e inserimento professionale in Provincia di Pescara, 2005, Franco Angeli ed.

Il rendimento universitario è prima di tutto influenzato dall'indirizzo della scuola secondaria e dal voto di maturità, che incide sul percorso poi scelto per l'università e sul metodo di studio, più o meno efficace. A sua volta, la scelta della scuola secondaria è influenzata dallo status educativo dei genitori, più i genitori avranno un livello d'istruzione medio-alto, più i figli saranno indirizzati verso i liceii. Il link tra voto di maturità e voto di laurea indica che la performance scolastica è da individuarsi nelle capacità personali, come la concentrazione, il metodo di studio, l'applicazione. Il voto di maturità, inoltre, influenza la scelta del percorso formativo universitario, si andrà a scegliere un percorso ad alto livello di specializzazione, come medicina, economia ed ingegneria, più il voto sarà soddisfacente.
L'età, anche, è un fattore indiretto determinante nei risultati scolastici, più si è giovani, e più il voto di maturità sarà alto, e più saremo orientati verso lauree molto specializzate. L'età è correlata anche allo status socio-economico familiare, infatti, si è notato che se lo status è medio basso, i neolaureati saranno meno giovani.
Anche il sesso tende a determinare il voto di laurea, infatti le ragazze saranno più propense ad una scelta liceale, aumentando la possibilità di un voto di laurea più alto. La tendenza di oggi vede le donne campioni delle università, infatti le ragazze si laureano di più, prima e con voti migliori.

Ciò nonostante, il voto di laurea è soggetto anche ad altri fattori, come la rettifica della media grazie ad insegnamenti più semplici, che aiutano ad alzare la media e il voto finale. Bisogna anche considerare il sistema universitario italiano, che permette di ripetere, dilazionare e contrattare esami ed esiti. In Italia, possiamo ripetere lo stesso esame più e più volte, finché il risultato non ci aggrada, quando ti siedi per l'ottava volta allo stesso esame e prendi 30, non sei bravo, al massimo tenace e caparbio; due gli effetti, hai perso tanto tempo, hai preso un bel voto. La scelta deve essere personale, e il mercato lavorativo non dovrebbe precludere allettanti possibilità a chi ha scelto di fare gli esami a botta secca, come è prassi nel resto del mondo. Nel sistema anglosassone e olandese, lo studente è obbligato ad accettare il voto, qualunque esso sia. In questi casi, il voto è effettivamente un'istantanea della preparazione dello studente.

Personalmente preferisco un'efficace strategia di apprendimento per laurearsi in tempo che la ricerca spasmodica della perfezione con tempi biblici. Opinione quanto più personale, in quanto il quadro italiano delle università dimostra come, secondo i dati forniti da AlmaLaurea, l'età media alla fine degli studi triennali è di 24 anni, mentre per la specialistica è di 26 anni. Dati completamente differenti dal resto d'Europa, dove i giovani si inseriscono nel mondo del lavoro già all'età di 23-24 anni. Noi italiani, invece, dobbiamo aspettare quasi 45 mesi dalla laurea prima di entrare nel mondo del lavoro.

L'inutilità del voto è il cardine della pedagogia steineriana, che si rifiuta categoricamente di selezionare e catalogare gli alunni con voti e scale di valori. Secondo uno studio dell'UNESCO (Prospects: the quarterly review of comparative education, vol.XXIV, no. 3/4, 1994), ha dimostrato come la mancanza del voto non influenza il rendimento effettivo dell'alunno sul lungo termine. Nel 1990, il 57.5% degli studenti che hanno raggiunto la qualificazione necessaria per accedere gli studi universitari, provenivano dal scuole steineriane, dato strabiliante se si pensa che per più di dodici anni non sono mai stati giudicati e classificati da voti.
Il successo di questo approccio pedagogico è visibile sopratutto sul lungo termine studiato in un gruppo di alunni delle scuole Waldorf nati nel 1940/1941, rappresentato da una maggiore mobilità geografica e sociale, un maggiore accesso ad attività culturali, come l'interesse nell'arte, la pratica di uno strumento musicale e l'abilità nei lavori manuali artigianali. Soprattutto, le persone così formate ed educate hanno maggiori capacità per affrontare le sfide della vita, con una maggiore sicurezza di sè, una vasta gamma di interessi e pronti e disposti ad accettare le responsabilità sociali.

Il voto è solamente una gabbia sociale, per rendere tangibile fin da piccoli l'ineguaglianza delle persone, che con differenti talenti vengono classificati in base a test standardizzati, che non mostrano le peculiarità di ognuno. Il sistema scolastico tradizionale è complice dello scoraggiamento e dell'abbandono dello studio, della svogliatezza degli alunni, del mero "faccio i compiti", della vergogna per il voto basso, porta in auge e a modello ragazzi più portati a fare esami, o ad essere pronti ad alzare la mano, gli estroversi.

Quindi non siate tronfi dei vostri voti, ma coltivate i vostri talenti e fateli fruttare.

Al prossimo incontro,

Eleonora


Nessun commento:

Posta un commento